Claudio Corti: una vita nell’ombra dell’Eiger

di Luca Signorelli

Nel 2004, il Club Alpino Italiano ha sancito la versione ‘ufficiale’ della prima salita del K2, riconoscendo un ruolo cruciale a Walter Bonatti, per aver rifornito Compagnoni e Lacedelli di tutto l’ossigeno usato per raggiungere la vetta. Per Bonatti questo è stato un trionfo personale: ha lottato per più di 50 anni per vedere riconosciuta come verità la sua versione dei fatti del 1954.

Al termine di una conferenza stampa a Lecco, la città italiana più fanatica per l’alpinismo, Bonatti vide in mezzo alla folla un vecchio amico: Claudio Corti, conosciuto in tutta Lecco come ‘Il Marna’, balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Cinquanta a causa del suo drammatico salvataggio sulla parete nord dell’Eiger e delle polemiche e le controversie che ne erano seguite. Bonatti (che conosceva bene Corti e lo aveva sempre sostenuto), gli si avvicinò: “Sai Claudio, ora dobbiamo davvero fare qualcosa per la TUA storia”. Corti si strinse nelle spalle con un sorriso: “Non mi interessa. È tutto passato ormai.”

 

Claudio Corti sulle spalle di Alfred Hellepart durante il salvataggio del 1957.UKC Articles, Feb 2010 © Albert Winkler (Archive Carlo Caccia)

Dato che Claudio Corti è morto nella sua casa di Olginate il 3 febbraio 2010, non sapremo mai se l’Eiger per lui era davvero “passato”. Alcuni, tra i quali Giorgio Spreafico, il suo biografo, credono che Corti non sia mai riuscito a superare le conseguenze di quei tragici nove giorni sulla montagna più famosa dell’Oberland Bernese, e di tutti quegli anni di polemiche, accuse e disperazione. Spreafico definì Corti come Il prigioniero dell’Eiger, ma certo sarebbe triste pensare a lui solo in questi termini. La carriera alpinistica del Marna era stata ricca e avventurosa e aveva toccato aree diverse, dalle Alpi Occidentali alla val Bregaglia, dalle Dolomiti fino all’Africa e la Patagonia. In circostanze diverse avrebbe potuto essere ricordato come uno dei migliori tra i Ragni di Lecco, il gruppo d’elite costruito intorno alle stelle della scena alpinistica di Lecco, uno dei più prestigiosi  d’Europa.

Ma una gran parte della vita di Corti è stata plasmata, cambiata e probabilmente rovinata da quel singolo evento. Ancor più che per Edward Whymper, la cui esistenza fu trasformata dall’incidente sul Cervino nel 1865, la vita di Claudio Corti cambiò per sempre in un tardo pomeriggio di agosto del 1957, quando giunse in vetta all’Eiger, portato sulle spalle di Alfred Hellepart. Le conseguenze di quell’evento e l’interpretazione distorta data dalla stampa, misero in ombra il “vero” Claudio Corti, proprio come il Whymper immaginario, nato dalle polemiche del dopo-Cervino, oscurò il vero Whymper di ‘Scrambles in the Alps‘.

Per sei giorni Corti e il suo amico e compagno di cordata Stefano Longhi si erano faticosamente fatti strada lungo parete nord dell’Eiger – la parete più famosa del mondo alpinistico – sperando di essere i primi italiani a completare la salita della via Heckmair, aperta nel 1938. Gli italiani avevano incrociato a metà parete due brillanti alpinisti tedeschi, Gunther Nothdurft e Franz Mayer, ed entrambe le cordate erano state avversate dalla sfortuna. Nothdurft si era ammalato, Longhi era sempre più stanco e soffriva di congelamenti, il tempo era peggiorato e le condizioni della scalata si erano fatte disperate, ma il quartetto aveva proseguito sapendo di non avere una via d’uscita, se non verso l’alto. Poi Longhi era caduto da una cengia sopra la Traversata degli Dei, e già spossato e assiderato, non era riuscito a raggiungere i compagni che furono costretti ad abbandonarlo e andare in cerca di soccorso.

Poco dopo, Corti fu colpito da un sasso, che lo mise fuori uso. Nothdurft e Mayer, che avevano bisogno di muoversi velocemente per avere qualche possibilità di giungere in vetta e scenderne sani e salvi, lasciarono il loro materiale da bivacco a Corti (tra cui la tenda rossa), mentre Corti diede ai tedeschi la sua attrezzatura da scalata. Si separarono e quella fu l’ultima volta che qualcuno vide Nothdurft e Mayer vivi. Corti combatté per la sua sopravvivenza per quattro giorni, rannicchiato nella tenda da bivacco rossa su una piccola cengia, 250 metri sotto la cima.

Claudio Corti poco dopo essere stato salvato sull’Eiger nel 1957. UKC Articles, Feb 2010 © Albert Winkler (Archive Carlo Caccia)

La lotta di Corti per sopravvivere all’Eiger, la dolorosa agonia di Longhi, finita con la sua morte, la brillante operazione (ideata da Lionel Terray, Ludwig Gramminger ed Erich Friedli) per salvare Corti e i quattro anni di mistero che circondarono la scomparsa di Nothdurft e Meyer, fecero sì che questa storia diventasse una delle più famose dell’alpinismo di tutti i tempi. Una storia che è stata raccontata, con vari gradi di accuratezza, in molti libri. Sfortunatamente per Corti, il libro più famoso e di successo – Ragno Bianco (Die weisse Spinne) di Heinrich Harrer – è anche il meno attendibile di tutti. A causa di una bizzarra miscela di pregiudizi e sensazionalismo, Ragno Bianco deliberatamente marchia Corti come uno dei più grandi farabutti della storia dell’alpinismo, e questo anche dopo la scoperta del destino di Nothdurft e Mayer, evento che avrebbe dovuto riabilitare la sua immagine.

L’Affare Corti, così finì per essere chiamato, iniziò pochi minuti dopo l’arrivo in cima all’Eiger di Corti, appena portato in salvo. In preda al delirio e pericolosamente vicino al collasso finale – aveva perso quasi 20 kg in nove giorni – l’alpinista si rivolse ai suoi soccorritori con parole sconnesse e poco comprensibili (Corti si esprimeva quasi sempre in dialetto). Eppure, le dichiarazioni incoerenti rese sulla cima erano destinate a essere usate contro di lui.

Nell’ospedale di Interlaken, dove fu trasportato, i giornalisti ebbero libero accesso alla stanza di Corti, a tutte le ore del giorno e della notte. Il più assiduo era Guido Tonella, uno scrittore della Svizzera Italiana che si era guadagnato la notorietà, negli anni Trenta,  con la sua cronaca  della prima salita dello sperone Walker da parte di Riccardo Cassin. Parlando italiano, Tonella aveva una posizione privilegiata tra i corrispondenti accorsi a Grindelwald sulla scia della tragedia. Tutti avevano domande da porre a Corti, e Tonella, che si era auto-attribuito il ruolo di traduttore, diventò la principale fonte di informazione per la maggior parte della stampa internazionale, bombardando Corti con insistenti richieste su tutti i dettagli della salita, compresa la questione più importante: che fine avessero fatto Nothdurft e Mayer.

Corti poteva fare ben poco per reagire a questa pressione. Ancora molto debilitato e non abituato ad avere a che fare con la stampa, accettò di rispondere alle domande di Tonella, non sapendo che il giornalista stava dando in pasto al resto della stampa pettegolezzi raccapriccianti. Nel frattempo, altre due persone erano salite sulla scena di questa tragedia: Riccardo Cassin e Carlo ‘Bigio’ Mauri (che avrebbero successivamente salito il Gasherbrum IV con Walter Bonatti). Entrambi erano in vetta all’Eiger mentre Corti veniva tratto in salvo e Mauri, amico e compagno di cordata di Claudio, era da lui considerato come una sorta di suo protetto. Una volta nella stanza d’ospedale, Cassin e Mauri aprirono la conversazione con una raffica di insulti. Accusarono Claudio di irresponsabilità, di aver abbandonato vigliaccamente Longhi al suo destino e di aver coperto di vergogna, per via di quel salvataggio, l’alpinismo italiano. Il punto di vista di Cassin era ancora quello dell’alpinismo degli anni Trenta, quando essere soccorsi era sinonimo di vergogna; e il suo caratteraccio era a dir poco leggendario. Ma l’atteggiamento ostile di Mauri fu per Corti un colpo inaspettato.

Con tutta probabilità non era solo l’onore dell’alpinismo italiano a essere in gioco. Cassin e Mauri erano a Grindelwald perché ambivano a tentare la via di Heckmair, e Corti era stato sul punto di “rubare” a entrambi la prima salita italiana dell’Eigerwand. Nel rigido e gerarchico ambiente alpinistico italiano di quell’epoca, Corti aveva fatto un imperdonabile passo falso e Cassin aveva giurato di dargli una lezione (e in virtù del suo prestigio, ci riuscì).

Quando Claudio finalmente tornò a casa sua a Olginate, Nothdurft e Mayer erano ancora dispersi, e la maggior parte dei media stava apertamente insinuando che a proposito del loro destino Corti sapesse più di quanto aveva ammesso. Mentre gli amici più stretti non avevano dubbi sulla sua innocenza, tutti gli altri sembravano sospettare il peggio. In Germania e in Svizzera alcune riviste lo accusarono senza mezzi termini di aver assassinato i due alpinisti tedeschi per rubare loro l’attrezzatura e sostennero che la sua ferita alla testa fosse da attribuire a un colpo di piccozza. Ancora una volta le accuse furono alimentate da Tonella, Harrer e Kurt Maix (impegnati a editare la versione finale di Ragno Bianco ). Le prove erano inesistenti o di seconda mano. Per esempio, Tonella, in un suo articolo, affermò che delle foto aeree avevano “definitivamente dimostrato che Nothdurft e Mayer erano stati insieme a Corti per tutta la scalata, fino a poco prima del salvataggio” e che “Corti stava mentendo”. In seguito Tonella ammise di non aver mai visto le immagini prima di scrivere la storia, e disse che a parlargliene erano state “fonti attendibili”.

La parete nord dell’Eiger – Il cerchio più basso indica la posizione di Longhi, quello più in alto quella di Corti. UKC Articles, Feb 2010 © Archive Rainer Rettner

Il resoconto di Tonella e Harrer finì per attirare su Corti l’attenzione della polizia tedesca, che andò  a Olginate per interrogare l’alpinista, con Tonella di nuovo nel ruolo di traduttore. Ingenuamente, Corti accettò questo strano “interrogatorio”, e ancora una volta Tonella utilizzò le confuse risposte di Corti come prova contro di lui. Con un colpo di scena teatrale, Riccardo Cassin usò tutta la sua autorevolezza per risolvere la questione, e nel corso di una drammatica riunione del Club Alpino Italiano, chiese l’espulsione di Corti dal club medesimo. Il gruppo dei Ragni, che conoscevano bene Corti, votò contro questa proposta e la richiesta fu respinta. Vedendolo come un attacco personale, Cassin si dimise da presidente dei Ragni di Lecco, aprendo una ferita che si sarebbe rimarginata solo dopo anni.

Quando Ragno Bianco fu pubblicato, Corti divenne un paria; la gente non voleva più parlare con lui, e anche il suo lavoro risentì di tutta questa pubblicità negativa. Il libro conteneva un ritratto grottescamente distorto di Corti, ignorava il suo curriculum alpinistico e descriveva Longhi come poco più di un principiante del tutto inadeguato all’Eiger. Alcuni dei punti sollevati da Harrer erano surreali – per esempio, che Longhi non sapesse fare un nodo Prusik. Di fatto Longhi era stato un istruttore di arrampicata nel gruppo dei Ragni e naturalmente sapeva fare tutti i nodi di base.

Agli occhi del grande pubblico, Corti era nella migliore delle ipotesi un incompetente, e nella peggiore un assassino. Harrer era così convinto dei suoi sospetti che pagò una ricerca alla base dell’Eiger, per trovare una traccia dei tedeschi dispersi. Nel frattempo, il cadavere di Longhi era ancora bloccato su una cengia, 50 metri sopra la Traversata degli Dei, e incoraggiava una sorta di guardoneria macabra, dalle terrazze degli alberghi di Grindelwald. Corti pregò il CAI di organizzare il recupero del corpo del suo amico, ma nessuno gli rispose. Nel 1959 una rivista belga pagò un gruppo di guide svizzere, e il corpo di Longhi fu riportato in Italia. L’autopsia rivelò che aveva una gamba fratturata. Questo pareva confermare una parte importante del racconto di Corti ma la sua posizione era talmente compromessa che una rivista italiana pubblicò un lungo articolo in cui l’autore spiegava che Longhi non poteva essersi rotto una gamba nella caduta del 1957 – le foto aeree scattate durante il salvataggio di Corti avevano mostrato Longhi in movimento e gli scalatori con le gambe rotte non possono muoversi. Mi chiedo come questo giornalista avrebbe spiegato la cosa a Joe Simpson.

Alcune persone continuarono a difendere Corti; Life Magazine pubblicò una lunga storia che era abbastanza in sintonia con lui.  La maggior parte dei soccorritori del 1957 credeva nell’innocenza di Corti, Hellepart andò a visitare Corti a casa sua un anno dopo il salvataggio. Poi, nel 1961, i corpi di Nothdurft e Mayer furono finalmente ritrovati sulla parete ovest, lungo la via normale dell’Eiger. Avevano raggiunto la cima, ma erano stati travolti e uccisi da una valanga durante la discesa. Avevano alcuni degli attrezzi di Corti e improvvisamente fu chiaro che lo scalatore di Olginate aveva sempre detto la verità.

Nonostante le numerose richieste, Harrer non cambiò mai la sua posizione, e, più o meno, rinnovò la maggior parte delle accuse in tutte le ristampe successive di Ragno Bianco . Un atteggiamento molto più equilibrato fu preso da Jack Olsen in Arrampicarsi all’inferno (The Climb Up to Hell), uscito nel 1962. Olsen dipinse un ritratto di Corti non privo di comprensione, scagionandolo dalle accuse più sordide, ma diede di lui l’immagine di un sempliciotto ossessionato, omettendo ancora una volta di riferire il suo curriculum di alpinista. Corti era diventato, e per sempre, il “prigioniero dell’Eiger”.

Le motivazioni di Tonella nel perseguire la sua crociata si potevano attribuire alla sua natura di giornalista che voleva fare sensazione; più difficile da capire è Harrer. Non incontrò mai Corti di persona, per cui è da escludere un’antipatia personale. Come nel caso di Cassin, il punto di vista di Harrer può essere stato semplicemente quello degli anni Trenta, l’età d’oro della scalata alpina – quando essere soccorsi e salvati significava essere tagliati fuori dall’ambiente alpinistico. Tuttavia, nel caso di Harrer, questa posizione virtuosa sarebbe stata un po’ fuori luogo, visto che nel 1938, proprio lui e Kasparek erano stati salvati da Heckmair e Vorg nel corso della prima salita – ma leggendo tra le righe di Ragno Bianco ci sono alcune sfumature sottili e oscure difficili da ignorare.

La maggior parte del pubblico di Harrer era di lingua tedesca e Harrer sembrava prendere particolarmente di mira gli italiani (a metà degli anni Cinquanta li si considerava ancora dei traditori delle potenze dell’Asse), dipinti come degli incompetenti, e in qualche modo non all’altezza di una parete difficile e pericolosa come la Nordwand. Harrer ritentò lo stesso scherzetto con le due squadre che portarono a termine la prima ascensione italiana nel 1963, alludendo al loro “dilettantismo” (e ignorando completamente il fatto che tre di loro – Mellano, Perego e Aste – fossero tra i migliori alpinisti europei dei primi anni Sessanta).  Ci provò anche con Bonatti, lasciando intendere che se il grande Walter non è mai salito sull’Eiger è solo perché l’Eiger “non è il suo genere”. In realtà l’Eiger non era negli interessi di Bonatti, anche se nel 1963 ci provò, e seriamente, con un tentativo solitario non riuscito a causa di una scarica di sassi che lo investì, ferendolo.

Se non si possono sottovalutare le responsabilità di Tonella e Harrer nel pubblico linciaggio di Corti, sarebbe ingiusto nei confronti di entrambi trascurare il ruolo svolto dall’establishment alpinistico italiano, che permise che ciò accadesse. Mentre i Ragni fecero quadrato intorno a lui, l’apparato del CAI lo abbandonò al suo destino, e fece un timido tentativo di revisione solo dopo il ritrovamento dei corpi di Nothdurft e Mayer e dopo che Toni Hiebeler (uno dei membri della squadra della prima salita invernale dell’Eiger nel 1961, e direttore della rivista Alpinismus) aveva scritto un articolo al vetriolo in difesa di Corti. Per parecchi versi Bonatti subì la stessa sorte, ma Bonatti era Bonatti e aveva una lunga esperienza nel trattare con il pubblico, Corti no.

Claudio Corti sulla parete nord del Piz Badile © Mike James, Aug 1961

A salvare Corti dalla follia furono il buon senso, una forte fede religiosa e l’aiuto della sua famiglia e degli amici. Per alcuni anni dopo il 1957, Corti alternò attacchi di depressione (con particolare riguardo all’impossibilità di recuperare il corpo di Longhi) a un profondo desiderio di “ripulire” la sua immagine di scalatore. Pensò anche di ritentare la scalata dell’Eiger ma poi dirottò la sua attività alpinistica soprattutto sui monti della Bregaglia e sulle amate Grigne. La sua fu un’attività frenetica e spesso sconsiderata. Corti era un forte alpinista ma la strategia non fu mai il suo punto di forza. Il racconto di Mike James della prima salita sulla parete nord del Pizzo Badile del 1961 è un esempio che ben rappresenta il Corti di quel periodo: brillante ma quasi indifferente al pericolo, qualcosa che aveva in comune con molti grandi di quell’epoca. Le grandi risorse di Corti erano la forza, la lealtà e l’affidabilità, dentro e fuori la montagna. Un episodio può far luce su questo: nel 1956, insieme a Annibale Zucchi, tentò due volte di ripetere il Pilastro Bonatti al Dru. La seconda volta una frana improvvisa li scaraventò per 500 metri giù per il couloir che porta al pilastro. Zucchi rimase gravemente ferito ma Corti, nonostante fosse a sua volta assai malconcio, soccorse l’amico riportandolo fino a Montenvers.

Corti alla fine comprese che l’unico modo per sopravvivere era lasciarsi l’episodio dell’Eiger dietro le spalle. Sul letto di morte, sua madre gli chiese di perdonare tutti, in particolare Harrer – “perché a questo mondo c’è più gente buona che cattiva” – furono queste le sue ultime parole. Sua moglie, che aveva capito il suo dolore interiore, fu per Corti un grande incentivo alla guarigione, e lo aiutò a canalizzare la sua angoscia in qualcosa di costruttivo. Nel 1968 tornò sulle Alpi Occidentali, percorrendo diverse vie difficili, comprese le pareti est e sud del Grand Capucin. Arrampicò ancora con Cassin, e spinse gli altri Ragni a far la pace con lui. Ripeté la via che lui stesso aveva aperto sulla nordest del Badile e, soprattutto, fu invitato nella spedizione di Casimiro Ferrari in Patagonia, giocando un ruolo chiave nella prima salita della parete ovest del Cerro Torre, una salita che per molti è la prima vera salita di quella montagna. Corti non raggiunse la vetta, ma la sua forza, abilità e affidabilità furono di grande importanza per il successo della squadra. Nel 1975, dopo aver salito il Monte Kenya, si ritirò dall’alpinismo attivo.

Ma l’Eiger continuò a perseguitarlo come uno spettro. La vera storia della salita del 1957 non era mai stata completamente raccontata e Ragno Bianco continuava a essere ristampato. Diversi amici e ammiratori di Corti invitarono Harrer a una ritrattazione pubblica che non arrivò mai. Anche Dino Piazza, il grande vecchio dei Ragni di Lecco, scrisse a Harrer senza ottenere risposta. La riedizione del 1999 riportava in pieno tutte le accuse e le insinuazioni di Harrer. Un’azione legale da parte del Club Alpino Italiano contro l’editore italiano del libro avrebbe potuto risolvere la situazione ma a Corti sembrava non importare. Fino al 2002 rifiutò di essere intervistato o perfino di discutere dell’Affare del1957.

Poi, tra il 2003 e il 2008, una serie di nuovi libri ha riaperto il caso. Daniel Anker e Rainer Rettner hanno pubblicato Morte sull’Eiger. Il dramma di Claudio Corti e Stefano Longhi (Corti Drama), un libro fotografico mozzafiato sul salvataggio del 1957, esaminando per la prima volta quel tragico evento come era realmente accaduto. Giovanni Capra (un giornalista sportivo italiano) ha presentato una nuova, lunga interpretazione della vicenda del 1957, nella storia della prima salita italiana dell’Eiger, chiarendo al pubblico italiano che Corti aveva subito un’ingiustizia enorme, in parte anche per mano di colleghi alpinisti italiani. Nel 2008 Giorgio Spreafico ha pubblicato Il prigioniero dell’Eiger, un lungo e dettagliato racconto della vita di Corti e probabilmente la più accurata indagine sull’incidente del 1957 che sia mai stata fatta. Harrer era morto nel 2006 senza abiurare una sola riga del suo Ragno Bianco. La sua versione dell’Affare Corti non potrà più essere presa per oro colato, ma per la popolarità del libro, il grande pubblico continuerà per sempre ad associare il nome di Claudio Corti alla caricatura di quell’essere incapace e vigliacco rappresentato in quelle pagine.

La salute di Corti negli ultimi anni era peggiorata; nel 2008 aveva subito l’amputazione di una gamba, a causa del diabete. Non è difficile immaginare che la morte l’abbia liberato di un peso sempre più difficile da sopportare ma Corti ha vissuto abbastanza a lungo per vedere che un po’ di giustizia, sia pure tardiva, è stata fatta.