Bad Boys running wild

di Fabio Palma

Avere idee è comune, coltivare sogni è quasi normale (talvolta irresponsabile), ma decidersi ad alzarsi da una poltrona, o nel nostro caso ad abbandonare le comode falesie o le mai comode ma comunque gloriose ripetizioni in montagna, esige quel tocco di Spirito che si ha sempre meno col progredire dell’età. A questo penso, filosofeggiando, mentre schiacciato da 25 kg di zaino arranco sui mille metri di dislivello wendeniani, affiancato dal grande Dodo e da mia moglie, pesantemente ingannata (se vieni ci fai le riprese, dai…) coi suoi quasi 15 kg di materiale.

L’idea la ebbe il Dodo l’anno scorso, poi negli ultimi due mesi gliel’ho ricordata di frequente, sapendo che il Dodo è ammalato di quel virus alpinistico che colpisce a fondo pochi, si chiama mania di aprire, e siccome la massa ne è immune lui, il virus, si vendica agendo in profondità verso chi ne è soggetto.

Meno filosoficamente, penso che ogni attività ha la sua scala, e che accedere a una parete non fa eccezione; ci sono gli accessi alla Jason Smith, dieci giorni da solo in una tundra artica trasportando 150 kg per cinquanta km; poi lo stesso accesso può essere compiuto in quattro, ed è il caso di un Pritchard e dei suoi amici, e anche qui mi sento piccolo piccolo. Però ci sono anche gli elicotteri, gli sherpa, e magari gli amici, quelli che non sono riuscito a convincere… insomma, arriviamo alla base del nostro pilastro in tre ore, la schiena si è ribellata un paio di volte e la neve caduta il giorno prima ha pure reso pericoloso qualche passaggio. Non so in che scala potrei mettermi, ma tante cose lette d’incanto acquistano più spessore… Per questo accetto volentieri che il Dodo parta per i primi metri dell’idea, del sogno, chiamatela come volete.

Siamo in mezzo a due cascate di oltre 250 metri, sopra la neve si sta sciogliendo e il Wenden non è mai stato così bello.
Siamo più selvaggi e isolati che se fossimo in certi campi Pakistani, l’avventura non ha bisogno di un biglietto aereo, perlomeno la nostra.

Dodo… Domenico Soldarini, mister avambraccio/pettorali/addominali, l’incarnazione dell’omino Michelin… è così, lui in falesia si impaurisce con lo spit ai piedi e così in molti hanno ipotizzato chissà quali trucchi nell’apertura delle sue vie delle Alpi centrali, quelle in cui vaghi per metri e metri alla ricerca di come proteggerti. Niente trucchi, trovo il termine sapienza mentre lo vedo arrendersi al primo spit soltanto dopo oltre quindici metri di onesto quinto grado, e alla fine dei 38 metri, che valuterò 6b+ scala Wenden, il trapano avrà ronzato solo tre volte. Grande Dodo, mentre ripeto mi dico che perfino da queste parti questo è un tiro che strapperà consensi, o imprecazioni, o fughe… che poi, quando un tiro ha personalità, le tre cose si mischiano senza vergogna.

Tocca a me, sul muro soprastante, già più verticale. Impiego un infinito a mettere il primo spit, io e i cliff siamo nemici dichiarati e il bloccaggio mi distrugge. Se penso che sono nella forma migliore della mia breve storia di arrampicatore e sono già tetanizzato dopo due metri… sconsolante, ma mica posso scendere dopo due metri! Parto per l’incognito, che roccia, avanzo con gioia e il Wenden mi ripaga con forme giuste al posto giusto… sotto in sosta non vedono quello che vedo io, buchi buoni e provvidenziali, così Dodo si aspetta il volo rovinoso, la chiamata al soccorso alpino, e insomma tutte quelle amenità che riempiono gli incubi dell’apritore, quando mi vede ancheggiare alla ricerca dell’equilibrio. Tranquillo Dodo, la debolezza dello scalatore, ovvero la protezione fissa, riesco a metterla docilmente, lontano ma senza affanno. Vado poco oltre, poi scendo, già esausto… la mattina dopo due spagnoli raggiungono lo spiazzo all’alba, hanno bivaccato, ma sono felici, hanno voluto finire una via a tutti i costi… bravi, incoscienti e bravi!

Il secondo giorno il sentiero è lungo uguale, ma almeno siamo meno carichi e la neve non c’è più. Riassumo mille emozioni e un paio di paure dicendovi che ho trovato una bella nicchia dopo ventisette metri fantastici, e che non ho avuto abbastanza coraggio per arrivarci dopo quello che sarebbe stato il più lungo run-out della mia vita. Quante volte, in montagna, si è al bivio delle proprie angosce… certe volte osi, e solo osando ti quieti un po’, ma in fondo per poco, sei sempre alla ricerca di quel qualcosa in più, dimostrare a te stesso e, diciamolo, anche agli altri, che hai schiacciato almeno per qualche attimo le tue paure in bel sacco nero da monnezza riciclabile.

Dodo mi raggiunge e io sono già intirizzito dal freddo, mi copro con tutto quello che abbiamo ma tremo, e sono solo le tre del pomeriggio… sopra il muro è inquietante, se la mia linea ha disegnato intorno al freddo numero 7b sopra siamo attesi da qualcosa in più, e d’altronde l’uomo ha inventato le scale per salire e scendere da case, blocchi di roccia, ipotesi di quantità. Tradotto nella situazione del momento, Dodo impiegherebbe un’eternità soltanto per pochi metri, peraltro da meditare bene, visto che mi volerebbe addosso in caso di errore… e io qui sono già in brividi, mentre la cascata ricorda la sua presenza con estemporanei sbuffi. Sono un pivello, mi ripeto per l’ennesima volta, potevi portarti calze di lana e un pile in più… niente, si scende, due giorni per due tiri, non siamo neanche a un quarto dal pilastro e nel cuore l’orgoglio di aver iniziato implode sotto l’ombra del grave che abbiamo voluto sollevare. Sarà una mazzata, detto in gergo.

Sullo zoccolo le gambe sono di marmellata, mi siedo e prendo a caso uno fra i pensieri che sono riuscito a scrivere negli ultimi mesi insonni, quando fra musica e passione e agitazione ho lasciato che le notti se ne andassero sempre prima. Magari è meglio sfruttare ogni ora perchè tutto è effimero, come una cascata di ghiaccio, e le emozioni vere sono quelle che ti lasciano una cicatrice tutta la vita, quelle in cui non bisogna mettere troppi punti e troppi punti e virgola come in questo pensiero, perchè quando li metti potresti andare a capo, ed allora potrebbe essere per sempre, e un po’ ti dispiacerà, anche fra anni, anche fra decenni, e la vita avrà scavato un oceano, ma sempre una piccola cicatrice ti ricorderà un momento od un istante, di agitazione e di fuori di testa, come quando arriva un’onda anomala e ti butta giù, e rimani bagnato e ridi, e quando va via torni a fare il bagno nell’acqua calma, ma un po’ ti dispiace, di stare in piedi e di accovacciarti quando vuoi tu, e non quando vuole anche il tuo cuore e il caso e questo brivido che ho ora dentro, e Dio ti ringrazio anche di queste ore, e fammi fermare e mettere questo punto, ma non ora non ora non ora.

Allo spiazzo giro di telefonate per il week-end, Dodo va sul Bianco, Paolo con lui, l’Adriano in Dolomiti, Matteo anche… io guardo su e vorrei tornare sul pilastro già domani, ma perché non ho osato di più sul traverso, come sarà sopra, riuscirò ad essere bravo quanto lui è abbacinante, quanto vorrei essere più forte, o meno debole, fate voi, quanto mi sento bene qui, in questo spiazzo, sotto queste pareti enormi in cui mi sento quello che vorrei essere in tutti gli altri giorni dell’anno: un cattivo ragazzo, secondo il comune senso dell’ordine.

testo e foto dell’autore

Fabio Palma, classe 1965, è ormai un ex ingegnere nucleare totalmente assorbito dalle passioni della scalata e della scrittura.
Laureatosi con lode nel 1990, scoprì l’arrampicata e l’alpinismo dopo i 30 anni, esordendo poi nell’editoria nel 2001.
Ragno di Lecco dal 2004, ha aperto numerose vie in montagna e ha pubblicato Uomini & Pareti nel 2001, Solitari nel 2005 e Lettere di Sosta nel 2006.
Nel 2007 fonda la rivista di alpinismo Stile Alpino.
Ha da poco pubblicato Genius, un nuovo romanzo questa volta non di letteratura di montagna.
Ha appena iniziato a scrivere un secondo romanzo, per cui si dà una decina di anni di tempo, avendo, dice, troppe cose da raccontare.

© AlpineSketches 2011